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      Il ferro del brachiere trovando la muratura ancora recente, vi fece senza molta fatica un buco sufficiente per introdurvi la mano. Dopo aver scalzato alcuni mattoni, presi l'arpione di ferro e cominciai a staccarli affatto. A poco a poco ne ruppi uno che mi giovò per giungere agli altri.
      Per la prima volta mi contentai di questo e spruzzai colla bocca molto aceto nel buco. Indi chiusi il tutto così esattamente che non era possibile avvedersene, adoperando un foglio di carta tinto col bianco di cerussa che avevo preparato apposta e che incollai sul buco. Disfacemmo allora il catafalco, rimettemmo a posto ogni cosa e ci coricammo, rimettendo il lavoro alla notte seguente.
      Quando fu venuta l'ora, scoprimmo il buco incominciato e trovammo che la quantità di aceto spruzzato dentro aveva fatto meraviglie. Ce ne rallegrammo assai e facendo il buco più grande e profondo, giungemmo ai mattoni che formavano il pavimento della camera abbandonata dal Commissario. Pensammo che sarebbe bastato sollevare quei mattoni colla testa per poter passare. Allora spruzzai dell'altro aceto, coprii il buco con un foglio di carta più grande del primo ed avendo gettato nella latrina tutti i frammenti di calce e mattoni, tornammo a letto.
      Qui non potei a meno d'interrompere il signor Pignata e di chiedergli come poteva avere tanto aceto.
      Veniva - mi rispose - dagli avanzi dell'insalata che ci davano tutte le sere. Io ne facevo provvista, prevedendo che ne avrei bisogno.
      Il giorno dopo, levatici sul far del giorno, ci accorgemmo che la calce e i mattoni che avevamo buttato giù, avevano levato nelle nostre camere una gran polvere, e per impedire che i carcerieri non si mettessero in sospetto quando venivano a far la visita, prendemmo ciascuno una scopa e ci mettemmo a spazzare, come per ripulire le camere.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
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Commissario Pignata