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      Dopo ciò egli volle seguirmi, ma essendo più grande e più grosso di me, l'apertura era troppo stretta per lui e non poteva passare. Allora cominciò a perdere il coraggio e a darsi alla disperazione, tremando tutto. Io gli chiesi che viltà fosse la sua di non poter fare qualche sforzo per torsi d'imbroglio dopo aver lavorato tanto per la libertà! Gli dissi che pensasse che il dado era tratto e che non si poteva più tornare addietro. Facemmo allora del nostro meglio, egli di sotto ed io di sopra per allargare l'apertura, ma il tempo volava e non ce ne restava abbastanza per fare il buco adatto al suo corpo. Tentò la fortuna una seconda volta e non poté riuscire.
      Turbato e adirato per questo ritardo, gli dissi di spogliarsi nudo, poiché, in parte, i vestiti gli impedivano di passare. Lo fece, mi diede i suoi vestiti, ma quando volle passare, la grossezza del corpo e le punte dei mattoni rotti che gli graffiavano il petto, lo fermarono di botto. Per me, risoluto a farlo uscire di là a qualunque costo, puntai la testa al muro ed avendogli fatto abbracciare il mio collo curvato, tirai con tutte le mie forze. Dire con che fatica e che sforzo riuscii, non è possibile; basti che il sudore mi pioveva dalla faccia come se mi avessero bagnata la fronte con una spugna. Alfonsi vedendomi così senza fiato, mi pregava di scusarlo, aggiungendo che mi sarebbe stato riconoscente per la vita. Tuttavia la sua paura ed il tremito non diminuivano ed io faceva inutilmente di tutto per incoraggiarlo.
      Attaccai tuttavia la corda alla ringhiera di ferro che dava sulla strada, e perché cadesse a piombo, legai al capo il mio vestito da eremita e lo lasciai scivolar giù adagio adagio.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170