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      Non m'era possibile mutar vesti nello stato miserabile in cui ero, e non avendo altro danaro che una mezza pistola che mio fratello mi mise in mano di nascosto quando venne a trovarmi in carcere. Vidi bene che mi conveniva mutar progetto e strada, e che invece di andare verso Firenze all'occidente, bisognava che andassi a levante. Così decisi ed avendo pensato qual nuova forma dare alla mia veste di romito, trovai che il meglio era tagliare fino al ginocchio la tunica che mi scendeva alle calcagna, darle la forma di un largo giustacuore e non prendere del piccolo mantello che avevo sulle spalle altro che il bavero intorno al collo, cucirlo al giustacuore come un colletto tondo e far d'ogni cosa come un pastrano. Questa operazione aveva anche il vantaggio di diminuire il peso del vestito, il che non era un piccolo vantaggio nella mia estrema stanchezza. Misi la mano in tasca cercando le forbici e non solo le trovai, ma trovai anche aghi e filo che nella confusione della fuga avevo preso con me. Tagliai dunque la veste, la ricucii dove bisognava e lasciai gli avanzi nella siepe ove stetti nascosto tutto il giorno fino alle nove della sera. Allora appunto la pioggia cominciò a diminuire ed io uscii dal mio ricovero dirigendomi a dritta e saltando le siepi per recarmi ad una casuccia di vignaiuolo dove si vedeva un lume.
      Quando ci fui, finsi d'essere uno straniero e chiesi per carità al villano un po' d'acqua da bere, poiché ero tanto abbattuto dal digiuno che non mi reggevo più in piedi.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





Firenze