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      Colle ghiande e il poco pane datoci da coloro che avevamo incontrato, calmammo in parte la fame che ci divorava, e il caldo del fuoco ci ristorò un poco.
      Eravamo lì fermi quando vedemmo ritornare la nostra piccola carovana di contadini coi due asini carichi di ghiande. Quando furono vicini, mi alzai, diedi loro la buona sera e chiesi al giovane perché non aveva voluto che il bimbo ricevesse il denaro che avevamo voluto dargli
      - Mi sorprende, signore, che ella gliene abbia offerto, e mi è dispiaciuto di aver così poca cosa da darvi.
      - Poiché vi vedo così buono e caritatevole - diss'io - vorrei pregarvi di un servizio.
      - Se posso - rispose - comandatemi.
      - Sappiate - ripresi allora - che io sono un povero disgraziato che cerca di fuggire alla malignità della cattiva fortuna e de' nemici che mi perseguitano alla lor volta. Senza che vi racconti le mie sventure, vorrei che mi diceste se da pochi giorni non siano venuti a Riofreddo dei forastieri, ossia dei soldati o dei birri, ad aspettare qualcuno al varco.
      - No - rispose nel suo dialetto. - Simili canaglie non oserebbero avvicinarsi a Riofreddo perché li faremmo ruzzolare dai monti a colpi di moschetto. Qui non conosciamo altro padrone che il marchese del Drago. Non abbia paura: venga con me ed io le mostrerò i passi per entrare nel regno di Napoli.
      Tutto rassicurato mi unii a loro, con Francesco contentissimo, e ciarlando per via di diverse cose ne dissero una che, per quanta poca voglia ne avessi, mi fece ridere. Mi disse infatti che vedendoci con quelle lunghe barbe, ci aveva presi per maghi o stregoni, poiché certi francesi (che il diavolo li porti, aggiunse) erano venuti a cercare tesori in quei monti, senza aver trovato o fatto altro che suscitare temporali orribili e far cadere una tempesta che aveva rovinato i raccolti dei dintorni.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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