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      Con questa mistura mi feci strofinare la schiena e mi fece un effetto meraviglioso, poiché non c'è nulla di meglio dopo fatiche come quelle che avevo fatto.
      Prima d'addormentarmi dissi a Francesco che bisognava scambiarci i vestiti. Egli prenderebbe la mia pelliccia ed io il suo giubetto ed il mantello da contadino, e nella lettera che scrivevo al suo padrone, il quale aveva in deposito qualche cosa di mio, direi che, oltre al pagamento dell'opera sua gli facesse un mantello nuovo, come mio regalo. Gli dissi anche di non meravigliarsi se, nel separarci, non gli darei nulla, perché ero così basso a quattrini da non averne abbastanza per i bisogni miei. Mi rispose che il suo padrone gli aveva ordinato di non prender nulla da me e che mi ringraziava del buon volere. Mi diede quindi il suo vestito e prese il mio. L'indomani sul far del giorno gli diedi la mia lettera, lo abbracciai e partì contento.
      Rimasto solo ad Avezzano risolvetti di confessarmi e comunicarmi per ringraziare Iddio della grazia singolare che m'aveva fatto, conducendomi, in luogo sicuro. Andai alla Chiesa Cattedrale dove trovai un confessore tanto discreto e pio, che mi fece piangere e riempì il mio cuore di consolazione. Egli mi disse quindi che c'era un prete che stava per dir messa e che da lui avrei potuto ricevere la comunione: come feci.
      Sul finire della funzione vidi entrare in chiesa un gentiluomo di cui debbo tacere il nome, il quale aveva una delle prime cariche nella casa di un grande Signore del regno di Napoli.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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