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      Un nobile veneziano, capitano del golfo, che dalla riva ci vedeva vicino alla morte, ci mandò una barca con sei rematori, i quali, avendo noi gettato una corda, ci rimorchiarono e ci fecero entrare in porto.
      Eravamo più morti che vivi, io specialmente che non avevo mai visto il mare in burrasca. Avendo bisogno di riposo, mi ricoverai in una capanna di pescatori e là, come al solito, mi vennero tristi pensieri. Non sapevo più qual partito prendere vedendo rotti tutti i miei disegni di viaggio. Pensai che ero ben lontano dall'Asia, che non sapevo una parola di turco o di greco, che avevo solo due pistole in denaro e che attraversare a piedi paesi barbari chiedendo l'elemosina era voler diventare subito schiavo di qualche turco. Queste buone ragioni mi fecero mutar progetto e presi partito d'imbarcarmi per Venezia dove almeno sarei sicuro dell'assistenza di mio fratello che doveva passarci il carnevale. Andai sul porto a parlare con un padrone di barca, il quale pel mio passaggio e il vitto sino a Venezia si contentò di una pistola e presi un biglietto di sanità sotto il nome di Gaspare Fedele, che mi costò venti soldi di Venezia.
      Mentre rimasi a Zara fui sorpreso di veder fare alle donne quello che altrove fanno i facchini, poiché portano tutti i pesi. Esse hanno per solito le poppe tanto lunghe che se le gettano dietro le spalle. Fra le altre vidi una povera donna che portava sulla schiena due bambini legati, i quali poppavano di dietro.
      Tre giorni dopo il padrone fu pronto per la partenza.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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