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      Mio nipote allora tornò in sala per chiedermi chi fossi, ma appena mi vide in faccia mi riconobbe, mi abbracciò e mi condusse nella camera di mio fratello che si vestiva. Questi mi vide, si mise a piangere e mi saltò al collo.
      Non potrei dire le carezze che mi fecero, ma io li pregai a nascondere la gioia perché il mio arrivo fosse segreto. Il prete che pareva commosso quanto lo stesso mio fratello, e tutti, facevano a gara per abbracciarmi e deplorare le mie disgrazie. Lodavano la mia intrapresa, si meravigliavano della mia costanza e della fortuna in mezzo a tante difficoltà che avevo dovuto vincere.
      Mio fratello mi fece subito deporre il vestito da calabrese e me ne diede uno de' suoi da campagna. Mandò a chiamare un barbiere che mi radesse la barba, ma io volli tuttavia conservare i baffi all'ungherese. Fece venire un sarto e mi ordinò un vestito di panno turchino con bottoni e galloni d'argento, così che, messolo dopo tre giorni, con una bella parrucca, parevo un ufficiale.
      Poco importandomi di queste vanità, dissi a mio fratello che sarebbe stato meglio un abito meno alla moda che mi rendesse più irreconoscibile.
      - Sta bene - mi rispose - e se non lo vuoi portare a Venezia, lo porterai altrove. Intanto te ne farò fare un altro che vada più d'accordo co' tuoi baffi da turco. Così mi fece fare uno zamberlucco che mi stava giusto alla persona, con una specie di veste più larga di sopra, attaccata al collo ed alle spalle, così che con un berrettone ed una sciabola tutti mi avrebbero preso per un ungherese.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





Venezia