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      Ci mise parecchi mesi: ma dopo dieci giorni dall'offerta, riusciva nel suo intento. Così il forte volere, la permanente preoccupazione, le predizioni altrui, i propri presentimenti confermavano il Pignata nelle concepite speranze. Ma il ritorno alle antiche stanze finite di restaurare, parve dissipare ogni dolce illusione: senonché poté egli ottenere di non tornare nell'antica carcere, ma esser posto coll'Alfonsi in una specie di appartamentino di tre stanze, una finestra del quale dava, non, come le altre, sul fossato o di faccia al muro, che circondava le prigioni, ma sulla strada: e la camera di mezzo era di seconda luce. Notisi che il muro esterno era di oltre sei piedi di grossezza, e gli strumenti in possesso del Pignata consistevano in un chiodo, un par di forbici, un temperino e due arpioni. Aguzzando però l'ingegno, finse di esser malato, e col mezzo del confessore ottenne un brachiere, munito di un cerchio di ferro, che, raddrizzato, poteva diventar utile. Il 15 di agosto, giorno dell'Assunzione, pregò ferventemente la Vergine che lo assistesse e lo illuminasse: ed ecco, finita la preghiera, venirgli il pensiero di rompere non già la grossa muraglia ma la volta della camera buia che nel suo centro poteva avere un par di piedi di spessore. Questa che gli parve ispirazione celeste e per la quale egli e il compagno subitamente si gettarono in ginocchio intonando a bassa voce il Te Deum era il frutto dell'assiduità del pensiero su uno stesso proposito. Ma l'altezza della volta era di diciassette piedi, e bisognava ammonticchiare i mobili per giungere sì alto, e porre sopra ogni cosa materassi e coperte per ammortire il colpo dei calcinacci e dei pezzi di mattone.


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Le avventure di Giuseppe Pignata fuggito dalle carceri dell'Inquisizione di Roma
di Giuseppe Pignata
pagine 170

   





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