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      La Messia conta già i suoi settant'anni, ed è madre, nonna ed avola; da fanciulla ebbe raccontate da una sua nonna, che le avea apprese dalla madre e questa, anche lei, da un suo nonno, una infinità di storielle e di conti; avea buona memoria, e non le dimenticò mai più. Vi son donne che avendone udite centinaia, non ne ricordano pur una; e ve ne sono che, ricordandosene, non hanno la grazia di narrarle. Tra le sue compagne del Borgo, rione o, come dice il popolo, quartiere di Palermo, essa godeva riputazione di brava contatrice, e più la si udiva, e più si avea voglia di udirla. Presso che mezzo secolo fa, ella dovette recarsi insieme col marito in Messina, e vi dimorò qualche tempo: circostanza, questa, degna di nota, giacchè le popolane nostre non uscivano mai dal proprio paese altro che per gravissime bisogne13. Tornando in patria, essa parlava di cose di cui non potevano parlare le comari del vicinato: parlava della Cittadella, fortezza che non c'era uomo che potesse prendere, tanto che non ci poterono gli stessi Turchi; parlava del Faro di Messina, che era bello ma pericoloso pe' naviganti; parlava di Reggio di Calabria, che, affacciandosi ella dalla Palizzata di Messina, pareva volesse toccare colle mani; e rammentava e contraffaceva la pronunzia de' Milazzesi che parlavano, diceva la Messia, tanto curiosi da far ridere. Tutte queste reminiscenze son restate vivissime nella sua memoria.
      La Messia non sa leggere, ma la Messia sa tante cose che non le sa nessuno, e le ripete con una proprietà di lingua che è piacere a sentirla.


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Fiabe novelle e racconti popolari siciliani
Volume Primo
di Giuseppe Pitrè
pagine 500

   





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