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      (544) Jiri a coddu sutta, cadere a gambe levate, andare in rovina.
      (545) 'Na jurnata ecc. Un bel giorno passò un fruttaiuolo; la Regina lo chiama per comprare dei fichi, (dui, numero che suol significare quantità indeterminata, ma sempre piccola).
      (546) Matri granni, patri granni, detto per rispetto a' vecchi, e particolarmente a' poveri e bisognosi.
      (547) La vide con gli occhi lagrimosi per pianto.
      (548) A la sira ecc. La sera le donne (che la teneano) le dicono: «Senti, Sfortuna: noialtre la sera usciremo, e ti chiuderemo di fuori, tu poi ti chiuderai di dentro. Appena noi torneremo, tu ci aprirai; ma bada che non rubino la seta, i galloni e quel che abbiamo tessuto.
      (549) Le botti di vino tutte stappate.
      (550) Oh svergognata! (autrice di tutto) questo devi essere stata tu!
      (551) Io levu di saponi ecc. «Io andrò lavando il bucato e tu andrai risciacquando.» Poveretta, la Sfortuna cominciò a sciaguattare i panni e poi si mise a tenderli. Appena che andavano rasciugando, essa li raccogliea. Poi si mise a rimendare; indi gli insaldò, e da ultimo li stirò.
      (552) In mezzo agli altri pani fece due bucellati pieni di anice e sesamo veramente appetitosi.
      (553) Ticch ticch, imitativo del suono delle pedate di Sfortuna camminando.
      (554) Trazzèra, quasi tracciera, viottolo mulattiere.
      (555) Presso la fossa dello spazzaforno è una vecchia strega. Smagarata che ha della magàra.
      (556) Sfortuna va al forno, trova questa vecchia, e quasi si ebbe ribrezzo a vederla, tanto era sporca, puzzolente, cisposa e brutta quanto una strega.


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Fiabe novelle e racconti popolari siciliani
Volume Secondo
di Giuseppe Pitrè
pagine 388

   





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