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      Quivi è grande caldo; inferma è la terra molto, e se alcuno mercatante d'altra terra vi muore, lo re piglia tutto suo avere.
      Quivi si fa lo vino di dattari e d'altre ispezie asai, e chi 'l bee e non è uso, sé 'l fa andare a sella e purgalo; m[a] chi n'è uso fa carne assai. Non usano nostre vivande, ché se manicassero grano e carne, infermarebbero incontanente; anzi usano per loro santà pesci salati e dattari e cotali cose grosse, e con queste dimorano sani.
      Le loro navi sono cattive e molte ne pericala, perché non sono confitte con aguti di ferro, ma con filo che si fa della buccia delle noci d'India, che si mette in molle ne l'(a)cqua e fassi filo come setole; e con quello le cuciono, e no si guasta per l'acqua salata. Le navi ànno una vela, un timo[n]e, uno àbore, una coverta, ma quando sono caricate, le cruopono di cuoie, e sopra questa coverta pongono i cavalli che menano in India. No ànno ferro per fare aguti e è grande pericolo a navicare con quelle navi.
      Questi adorano Malcometto. E èvi sí grande caldo, che se no fosse li giardini co molta acqua di fuori da la città, ch'egli ànno, non camperebboro. Egli è vero che vi viene uno vento la state talvolta di verso lo sabione con tanto caldo che, se gli uomini non fugissoro a l'acqua, non camperebboro del caldo. Elli seminano loro biade di novembre e ricogliele di marzo, e cosí fanno di tutti loro frutti; a da marzo inanzi non si truova niuna cosa viva, cioè verde, sopra terra, se non lo dattaro, che dura infino a mezzo maggio; e questo è per lo grande caldo.


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Il Milione
di Marco Polo
pagine 200

   





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