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      Nella seconda famiglia, i vocaboli sono sempre formati di una sillaba sola; e le idee complesse, per esprimere le quali una denominazione semplice non basta, sono espresse per via di più monosillabi in costruzione fra loro, formanti una circonlocuzione piuttosto che un vocabolo: i suffissi o i prefissi sono anch’essi vocaboli monosillabici, che fanno occasionalmente funzione di particelle grammaticali, conservando però quasi sempre il loro originario significato nominale, verbale o aggettivo.
      Caratteristica comune alle due famiglie è che le categorie grammaticali delle parole non sono che raramente nelle altaiche, e mai nel Cinese, distinte da forme particolari. Il valore grammaticale nei vocaboli è dato dalla sola posizione che essi prendono nella proposizione; l’ordine sintattico della quale determina le loro precise funzioni: d’onde deriva la necessità di una sintassi fissa, come hanno infatti gli idiomi mongolici, a differenza degli ariani e de’ [61] semitici; i quali, sebbene la consuetudine e il gusto li assoggettino ad un certo ordine sintattico, possono nondimeno dirsi a sintassi libera. Questa necessità di conservare rigorosamente l’ordine delle parole nella costruzione del periodo e della proposizione, dà modo di classificare i linguaggi mongolici secondo la diversità che essi dimostrano nelle loro sintassi. Una cosiffatta classificazione può avere un’importanza antropologica notevole; perocchè, piuttosto che desunta da un criterio puramente linguistico, è desunta, come più sotto accennerò, da un criterio d’ordine psicologico.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





Cinese