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      V’ebbero nondimeno coloro, che, più forti o più abili, se ne appropriarono più del bisogno, riuscendo così a radunare il guadagno di molti, che costringevano a star loro soggetti. Fu allora che lo Stato, regnando savissimi re, fece sue le terre, e le compartì equamente, togliendo ogni occasione al potente di soverchiare il debole"(67).
     
     
      VII.
     
      Ho accennato in altro luogo(68) alla quota normale di terra, che l’agricoltore riceveva, e alla disposizione de’ campi, che formavano il comunello agrario; ma giova ripeterlo ora col nostro testo: - "Ciascuna famiglia riceveva dallo Stato 100 meu di campo privato e 10 meu di campo pubblico; così che la comunità, essendo composta di otto famiglie, [128] aveva 880 meu di suolo coltivabile; negli altri 20 meu, che restavano dei 900 di cui componevasi la comunità stessa, erano le capanne e le case; quivi non solo abitavano i contadini, ma anche v’era luogo per radunarsi, e convenire circa l’entrata e l’uscita dell’azienda; e vedere se alcuno del consorzio avesse bisogno di soccorso, o se vi fossero malati da assistere. La vita comune, menata così d’amore e d’accordo, e ben regolata, educava e inciviliva; e il lavoro comune, donde tutti traevano il campamento, faceva ciascuno certo del giusto possesso del frutto della terra". Ma è chiaro che questa quota di terra coltivabile non poteva mantenersi uguale per tutti; tanto pel vario numero di persone che componevano le famiglie, o per l’accrescersi di esse; quanto per la diversa natura del suolo, che non dappertutto aveva la medesima fertilità. Perciò il testo prosegue: "Il popolo riceveva i campi secondo questa proporzione: "La quota di terreno coltivabile di prima qualità era 100 meu, quella di terreno arabile di qualità media era di 200 meu, e quella di terreno arabile di qualità inferiore era di 300 meu". Le terre si distinguevano ancora in terre che si aravano e seminavano annualmente; in terre che avevano bisogno d’un anno di riposo, e in quelle che ne avevano bisogno di due.


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La vecchia Cina
di Carlo Puini
Editore Self Firenze
1913 pagine 246

   





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