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      Dico questo, perchè avendo fatto una malattia nell’autunno del 1848, si sparse la notizia della mia morte, e furono scritte varie lettere di condoglianza alla mia povera vedova; e nessuno pensò di scrivere direttamente a me, che in qualità di medico avrei saputo dir loro il nome greco del morbo che mi rapì di vita.
      Dunque, tutti coloro che mi compassionarono defunto li ringrazio e delle tante volte che mi avranno detto povero diavolo, è crepato anche lui! e dei suffragi che m’avranno fatto correre appresso dalla parte di là: i quali li ho impiegati tutti già da due anni alla cassa di risparmio dell’altro mondo, affinchè cogli interessi semplici e composti abbiano a moltiplicarsi in un capitale ricchissimo per quando verrà davvero l’ora del mio rendiconto. Ma intanto voi, amici lontani, cominciate a rendere conto a me del come abbiate potuto credere alla mia morte per più d’una settimana. L’eloquente silenzio di tutti i giornali non vi fece sospettare che quella notizia fosse un poco inesatta? Dunque pensaste che nel secolo delle necrologie per tutti, io solo non meritassi la mia! E in questo caso, perchè l’amicizia non mi venne in ajuto, inventandomi talenti e virtù, e abborracciandomi un poco di piagnisteo per le gazzette? l’avrei tanto gustata la mia paginetta necrologica, sormontata da una piccola urna, e con un modesto N. N. ai piedi. Basta, vi perdono perchè sono vivo; morto, non lo potrei. Però, vi prego ad ajutarmi almeno adesso a distruggere dappertutto quella credenza, giacchè sussiste tutt’ora in qualche luogo.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212