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      Specialmente nel terzo dei generi accennati si va tra gente che non si è veduta mai, a cui non si è presentati, di cui non s’impara nemmeno il nome. Là s’incontra muso a muso il più aborrito nemico senza guardarlo, e nessuno se n’accorge. Là è un aggregarsi a caso e un segregarsi ad arte in molti piccoli crocchi che fanno da sè perchè provano il bisogno della confidenza fra tanta soggezione. Moralmente parlando, non si è mai così in pochi come quando si è in troppi: a segno tale che una moltitudine sconosciuta ci richiama subito l’idea del nostro isolamento, e ci rende una penosa sensazione di vuoto: per esempio, quando si siede in una fitta platea al teatro, o, meglio ancora, quando si gira per una popolosa città, lontano dalla patria: nel qual ultimo caso, se s’incontra una persona appena conosciuta di vista, e che al proprio paese non si salutava nemmeno, le si fa una festa, una festa, come se fosse intrinseco amico fin dalla infanzia.
     
      Io dunque intendo quì di parlare del pranzo senza pretensione e senza scopi, fuor di quello di stare allegri e godere una buona compagnia. Perciò debbono essere tutti elementi omogenei: amici fra loro la più parte, e chi non lo è ancora, degno di diventarlo alla prima seduta: insomma, tutti buoni diavoli e buone diavolesse. Ed ecco che bisogna non essere in molti, perchè di questa brava gente ce n’è poca, e perchè così diminuisce anche il grave pericolo che ci caschi in mezzo un muso antipatico o equivoco che dissipi ogni gioja e ci agghiacci le parole sulle labbra.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212