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      Oh, agli occhi di questa buona gente io avrei proprio composto il più iniquo e bestiale de’ miei libri: e correrei pericolo di esserne punito con alcuno di quei tremendi articoli bibliografici che mi colmano di rimorsi, e mi fanno intisichire d’avvilimento. Dunque, o ricchi benemeriti, spesseggiate pure e largheggiate d’inviti, e date sull’arte nostra eloquenti e magnifiche lezioni pratiche, ben più efficaci dei freddi e insipidi precetti affidati alla carta: e io dal mio ritiro vi darò ragione e vi applaudirò sempre come i tanti affamati scolari che vi fanno bella corona a tavola, avidi tutti di apprendere e perfezionarsi. Vorrei solo una condizione: che su trenta giorni del mese ne riservaste uno, almeno uno, pei veri amici.
      Ma, oimè! che quì è proprio dove manca il terreno sotto ai piedi. Le persone dal cuore troppo espanso, che sono tutto per tutti, hanno un diluvio d’amici nel senso volgare e abusivo della parola: ma ordinariamente sono destinati a non averne nella significazione nobile e sacra del concetto. In ciò rassomigliano molto ai dotti enciclopedici che, a forza di trattar confidenzialmente tutte le scienze, non riescono mai a possederne alcuna. La cosa non è che troppo naturale. L’amicizia è oculata, e perciò, a lungo andare, più gelosa dell’amore, che dalla sapienza antica fu dipinto cieco, e spesso si appaga di illusorie apparenze. Primo e supremo elemento di quell’affetto è la stima che conduce alle più delicate distinzioni: ma queste cessano di esser tali se si usano con varii.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212