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      E la mia storia come uomo di lettere o da libercoli sta tutta quì. Figuratevi che, subito dopo aver publicato la versione della Poetica, un letterato sgobbone venne a dirmi: «Adesso poi bisogna accingersi a qualche lavoro di molto maggior lena.» Misericordia! quì lena è sinonimo di schiena: e stiamo a vedere che questo animale vuol farmi fare il facchino come lui: e mi parve che mi legasse un’incudine sulle spalle, e ripensai tremando alla lena affannata di Dante, e non dimenticai più quelle parole da svenimento. Lena! ma andate al diavolo, chè io detesto e schivo quanto so e posso ogni lena, e in qualunque significato, ad eccezione del solo caso che fosse un abbreviativo di Maddalena. In somma, io scrivo per ridere; e dopo divento smanioso di far ridere gli altri: e finisco a essere in collera coll’Italia, perchè non pensa tutta quanta a farsi mantenere allegra da me...
     
      Ma quì viene il buono, o piuttosto il cattivo: perchè alcuni non vogliono che adesso si rida, o al più vi permettono di ridere secretamente, di contrabando, in camera chiusa: ma guai se lo fate sapere, e peggio se tentate di render contagioso il vostro riso. E cominciano a dire che ogni lavoro scherzevole è inopportuno. Distinguo: inopportuno per l’autore o per il publico? Per l’autore, concedo: e l’ho preveduto io pure nel manifesto e nella prefazione, e non mi è mai capitato da molti anni una simile disdetta di metterci quattro mesi a smaltire poco più d’un migliajo di esemplari, e di trovarmi ancora in possesso di più della metà dell’edizione.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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