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      Vedo che per sciagura dell’umanità il mondo si divide in molteplici partiti non solo sulle cose grandi, ma perfino sulle più inconcludenti: fra questi vi sono anche coloro che vogliono ridere, e coloro che tengono fermo per la tristezza: io sto coi primi, voi coi secondi: e ciascuno attende alla propria clientela che, senza gelosia, può essere numerosissima per entrambi. È la storia di Democrito e di Eraclito; e consoliamoci che anche quei filosofi furono due grandi esaggerazioni, come lo sono d’ordinario le opinioni estreme. Felici ancora noi per ciò che, trovandoci in opposizione su di un punto di sì lieve entità, non siamo nella necessità crudele di abominarci, e maledirci, come pur troppo accade nei partiti di maggior conseguenza.
      Ma se io posso rassegnarmi all’incapacità di mettervi in buon umore, mi è poi insopportabile il pensiero che qualche mia pagina vi abbia fatto male. Questa è forte, perchè se voi da una parte siete fior d’onestà e d’ingegno, io dall’altra non so credermi così destituto di senso morale da riescire a risultati così opposti alla mia intenzione. Dunque o io ho male inteso voi, o voi avete male inteso me. Intanto ciò che ho capito benissimo è che sommamente vi dispiaciono le parole marmaglia, popolaccio, plebaglia. Io, che aspiro alle idee chiare e precise, con quei nomi intendo significare la parte di popolo più povera e specialmente più ineducata: definizione che ci richiama a gravissimi pensieri. Sto con voi, e chi non ci starebbe? che le classi più sofferenti e diseredate dei migliori conforti materiali e morali della vita, constano di fratelli nostri, nè più nè meno, figli tutti dell’istesso Padre commune, e aventi egual diritto alla massima possibile porzione di felicità: che veramente sublime e santo è l’ardore caratteristico del secol nostro, il quale tende con ogni sforzo a migliorarne la condizione: che in ciò devono concorrere a gara la legislazione e la scienza, la borsa dei ricchi e la penna degli scrittori affettuosi, ecc.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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