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      Ora siamo al buono. Vi lascio imaginare se tra gl’invitati io ero il capo di lista. Credo che all’estremo caso di una piazza mancante, piuttosto che rinunciare a me, avrebbero mandato a spasso Don Carlo. Ma come si fa? ho da andare con un altro brindisi in saccoccia? e che altro si potrebbe dire? Avvisi sopra avvisi che mi guardassi bene dal mancare: e io a protestare che aveva troppi malati in cura, e non potevo. I birboni hanno capito il latino, e mi proibirono espressamente di far versi, e mi offrirono una carrozza a tutta mia disposizione per un’ora pomeridiana, per le due, purchè andassi. Ma la cosa era impossibile: perchè, ad onta delle proibizioni, in fine di tavola avrebbero aspettato una mia sorpresa: e io non voleva nè compromettere la gloria dell’altr’anno, nè restar là a mangiare e bere senza gloria. Oh, la gloria come costa caro! Insomma, mi sono finto ammalato, e non mi mossi da casa mia: e desinando in silenzio e frugalità, sospirava dietro alla crapula gioconda e romorosa di Don Carlo. E, per l’istessa ragione, non vi ritornai più a nessun anniversario posteriore. A Milano, sì, ma a Ceriano, no. E loro a burlarmi per non esserci andato in causa del brindisi; e io a negar sempre con faccia bronzina la verità evidente. Posso dirlo adesso, perchè c’è passato sopra tanto tempo, e Don Carlo è in paradiso da un pezzo, e dispersa quella bella compagnia: vicende umane! O raffazzonatori di brindisi annuali, non è questo un esempio salutare e una buona lezione? Quando penso ai poeti cesarei, costretti a comporre e disporre parole rimate per ogni onomastico di tante Altezze, e per ogni nascita di principino, e per ogni matrimonio di principessa, e per ogni ragnatela che si movesse a Corte, mi prende compassione del loro cervello.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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