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      Qui è il caso di rimarcare che se l’allegria e il vino possono far dire qualche sciocchezza di più, in compenso ne fanno fare qualch’una di meno. Non accade però così tra i grandi signori: siccome là si agisce dietro principii inconcussi e riconosciuti, non v’è pericolo che i vapori del pranzo salgano dallo stomaco alla testa, e facciano dimenticare a chichessia la propria parte in quella seria rappresentazione: quindi si va via da tavola collo stesso ordine col quale si è venuti. Io che talora mi lascio andare alle più matte fantasticherie del mondo, trovandomi nell’umile coda degli invitati di nessun sangue, qualche volta ho pensato: «che cosa mo accadrebbe se io repentinamente mi portassi al fianco della marchesa, e pigliatala sotto al braccio, andassi avanti pel primo, pettoruto e fiero? la marchesa cadrebbe in isvenimento, imaginandosi d’essere assalita da un frenetico? i servitori mi getterebbero da una finestra? certo che nascerebbe uno scandalo e un parapiglia tale da servire di esempio terribile per un’intera generazione a quei nobili che si arrischiano di invitare i plebei. Sarebbe come se al Teatro della Scala, nel momento più tenero di un duetto, un vile corista venisse avanti a cacciar via Rubini, e a urlare con la prima donna.»
     
      Eccoci nella sala di conversazione: oimè, che freddo! ma questo locale è diventato una Siberia: capperi! s’è aperta una finestra, e il fuoco è quasi estinto. Giorgio, un’altra volta fa sorvegliare alla possibilità di tali inconvenienti: io sperava di non doverti più seccare.


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L'arte di convitare spiegata al popolo
di Giovanni Rajberti
Editore Bertieri Milano
1937 pagine 212

   





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