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      In casa poi il cane è tutto: custode, difensore, servitore, amico; riceve cordialmente i familiari, abbaia a' forestieri e ai pezzenti, s'affligge e perde l'appetito nelle assenze del padrone; alla morte di lui poco manca ch'ei non muoia di dolore (proprio quando gli eredi inconsolabili cominciano a rivivere di felicità): insomma è il vero disperato per eccesso di buon cuore.
      Ma il gatto oibò! egli non farebbe un passo fuori della porta per veder a passare un re o un papa; né darebbe la coda di un sorcio per realizzare la repubblica di Platone. Se nella sua stessa contrada si facesse una guerra di sterminio, egli non s'incomoderebbe nemmeno a sporgere il muso dal margine del tetto per vedere cosa succede. Se la famiglia a cui appartiene muore tutta di contagio, egli non dormirà per questo un minuto di meno; e se abbrucia la casa, si ritirerà in quella che vien dopo a goderne lo spettacolo da un abbaino. Oh che anima imperturbabile, oh che sistema ambulante di filosofia! Qual cosa di meglio insegnarono gli stoici, che forse attinsero allo studio del gatto i migliori precetti della loro scuola? Io, che quando mi lascio tentare ad aprire alcun libro filosofico, di solito grido dopo due pagine: «Oh che bestia di filosofo!», ogni qualvolta penso alle virtù del gatto, esclamo: «Oh che filosofo di bestia!».
      Dirà taluno che questa è filosofia d'indifferenza e d'egoismo. Ma cesserà forse perciò d'essere una filosofia, e molto diffusa e messa in credito? Le convinzioni non hanno nulla a che fare cogli affetti, anzi vi si oppongono e li tengono in misura: e allorché una maniera di vedere e di agire parte da princìpi e assume carattere di sistema, non c'entra più il cuore, e direi quasi la ragione.


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Sul gatto
Cenni fisiologici e morali
di Giovanni Rajberti
Editore Bernardoni Milano
1846 pagine 98

   





Platone