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      Quanto alla materia vera e propria, il Cieco rassomiglia al Boiardo nel prenderla da qualunque parte. Egli attinge, ora di prima, ora di seconda mano, al ciclo di Carlo, ai romanzi della Tavola Rotonda, all’antichità classica. Disgraziatamente non possiede come il Conte la facoltà di ridurre ad un tutto armonico codesta farragine di roba; il fiat, che potrebbe trasformare il caos, non è pronunziato, e ogni cosa rimane, più o meno evidentemente, allo stato di confusione. Di ciò l’autore non s’accorge punto. Il che è ben naturale in un uomo che canta, canta, canta, per aggradire ad un signore, non perché lo vivifichi internamente il sacro fuoco dell’arte.
      Eppure il Cieco è senza dubbio un rimatore d’ingegno non comune e di facile fantasia. S’incontrano presso di lui, a uno stato di elaborazione imperfetta, belle scene, vivaci descrizioni, comparazioni efficaci in gran numero. Le sue invenzioni si vedono derivate da questo o quel modello, senza che mai, o quasi mai, si possan dir copie. Guardiamoci tuttavia dal prestar fede a chi gli vuole munificentemente attribuire l’introduzione delle fate nel romanzo cavalleresco. Quasi che - lasciando stare certi esempi francesi, poco o punto noti in Italia - il Boiardo non avesse, nonché composto, perfino stampato sei settimi del suo poema parecchi anni prima che il Cieco si mettesse all’opera! E poi, le pretese fate del Mambriano non sono nient’affatto ciò che si crede. Vere fate diremo Morgana ed Alcina; Carandina, Fulvia, Uriella, sono semplici maliarde, le quali, o smetteranno il loro brutto mestiere e prenderanno marito come qualunque altra femmina, oppure termineranno i giorni con qualche orribile supplizio.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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