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      (123) Il Boiardo diede prova anche qui dell’aggiustatezza del suo criterio. Lasciò stare Domeneddio e la sua corte, e non chiamò né Clio, né altre seccature ad occuparne il posto. Egli comincia addirittura il suo dire volgendosi all’uditorio, reale o immaginario, come del resto solevano fare anche i cantastorie da piazza, dopo che avessero pagato al cielo il tributo di rigore. Sennonché costoro apostrofano l’udienza siccome buona gente, e se premettono anche un signori, gli è il più delle volte un’adulazione, o, se così si vuole, un tratto di cortesia; invece il Boiardo suppone, e non per capriccio fantastico, di parlare unicamente a un’adunanza di gente eletta.(124) L’Ariosto batte una via diversa. Comincia enunziando in due ottave la materia del poema, ossia facendo anzitutto la proposizione; quindi per altri sedici versi rivolge la parola al Cardinale Estense, e con umili parole gli dedica l’opera. Il pubblico, ahimè! scompare, e cede il luogo ad un Mecenate.(125) Certo non è il più bel segno per le lettere.
      Ma questa forma di proemio è ben più antica del Furioso. O non l’abbiamo noi nel poema didascalico di Manilio? Tuttavia nessuno, credo, vorrebbe dire che il nostro autore la togliesse precisamente di là; e forse nemmeno che la ricavasse dall’Achilleide di Stazio, sopprimendo l’invocazione mitologica. Ma certo la proposizione nel principio è quasi di regola presso [69] i classici; e una dedica a qualche potente le si accompagna molte e molte volte.(126) Poi, oltre agli antichi, sono da avere a mente i loro imitatori, e in primissimo luogo il Poliziano, che pare appunto aver preso norma dall’Achilleide.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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