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      I rimatori popolari sogliono terminare accennando al seguito del racconto, e raccomandando gli uditori, e spesso anche sé medesimi, a Domeneddio o agli altri abitatori del cielo. Prendo a caso alcuni esempi:
      Lasciàno ora i Cristiani in tale stato;
      E nell’altro cantar vi seguiroeLa bella storia e ’l dilettoso canto.
      Di mal vi guardi lo Spirito Santo.
      (Spagna, VIII.)(221)
      Or udirete nell’altro cantareQuella battaglia cruda e smisurata.
      Cristo vi guardi e la Madre beata.
      (Ib., X.)
      Rinforza il dire dello affamamento:
      Facciaci Iddio ciascun sano e contento.
      (Rinaldo, XLIV.)(222)
      Nell’altro dir vi fornirò la fine:
      Guardici il re delle virtù divine.
      (Ib., L.)
      Ma il saluto non è indispensabile, e meno ancora l’annunzio della continuazione. Anzi, esistono lunghi poemi che ignorano [97] completamente, o quasi, sì l’uno che l’altro. Tali sarebbero l’Orlando(223) e il Danese; giacché i commiati sacri che s’hanno nelle stampe del secondo sono chiariti interpolazioni dal confronto dei codici.(224)
      I poeti d’arte seguirono sistemi diversi. Il Boccaccio, che dottamente divideva in libri, anziché in cantari, non ammise commiati di nessuna sorta. Evidentemente egli aveva l’occhio ai classici, e in particolare a Virgilio: tant’è vero che i libri della Teseide sono dodici, quanti ne conta l’Eneide. All’incontro il Pulci si attenne fedelmente alla Poetica del volgo. Senza dubbio fa un po’ di meraviglia il vedere un uomo della sua specie introdurre un elemento religioso anche in luoghi dove il suo originale ne faceva a meno.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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