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      (226)
      Nel Furioso dell’elemento sacro non resta più nemmeno la reminiscenza; sennonché insieme è impallidita anche l’idea della recitazione. Le chiuse sono dunque ancora quelle dell’Innamorato: spoglie peraltro di ciò che ancora ricordava la piazza, e ridotte spesso a maggior brevità. Talvolta lo scrittore si tradisce, come, per esempio, allorché termina dicendo:
      Quel che seguì, ne l’altro canto è scritto.(227)
      (VIII.)
      E per verità l’Ariosto non parrebbe nemmeno avere il diritto di rivolgersi ad una brigata, dopo la dedica ad Ippolito. Certo Virgilio non dimentica mai nelle Georgiche ch’egli canta per Mecenate. Sicché per questo riguardo la tradizione prevale ancora sul classicismo e sulla realtà.
      [99] Invece non prevale per ciò che spetta alla misura dei singoli canti, uniforme di regola in ciascun poema popolare(228) e non lontana dalla uniformità anche nell’Innamorato. Ma per questo rispetto le abitudini dei cantambanchi erano già state rotte: se non erro, dacché la stampa aveva sostituito la parola scritta alla parola pronunziata ed udita. Così, per tacer d’altri, il Pulci, che rifaceva pure un poema con divisioni uniformi, colloca le sue fermate senza norma alcuna, e si permette di prolungare certi canti al di là d’ogni limite.
      Un interesse ben maggiore offrono gli esordî. Qualcosa se n’è dovuto dire di necessità a proposito del proemio generale di tutta l’opera. I rimatori popolari, come s’accommiatavano, così ricominciavano anche nel nome di Dio e dei santi. Le loro invocazioni sacre riempiono per lo più un’ottava; a volte, soprattutto in opere composte o rimaneggiate per la stampa, ne abbracciano due; nondimeno ce n’è di quattro versi soltanto, ed anche solo di poche parole.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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