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      (291) Sotto questa forma erano già apparse nella letteratura cavalleresca - per derivazione appunto dalla novella che leggiamo nelle Mille e una Notte(292) - molto tempo prima dell’Ariosto; poiché spettano al secolo XIII, sia pur declinante, tanto il Cleomadès di Adenet,(293) quanto l’elaborazione indipendente che della materia medesima fece Girard d’Amiens e che ad un meccanismo siffatto deve uno dei [116] titoli con cui suol designarsi, Conte du Cheval de fust;(294) e nella forma originaria perduta non può di certo essere stato posteriore di molto, come attestano le emanazioni germaniche, il Valentin et Orson,(295) che le stampe presero a propagare fin dal 1489.(296) Può ben darsi che questi esempi abbiano avuto qualche efficacia anche sulla fantasia del nostro poeta, suggerendogli una prima idea, dalla quale, per un’associazione naturalissima, egli sarebbe passato al Pegaso della mitologia. Poiché, il conoscere la fonte di una concezione qualsivoglia non vuol già dire sapere, perché essa sia stata introdotta in una certa opera e ad un certo momento. L’imitazione è quasi sempre occasionata da cause occulte e complesse, che l’induzione può tentare, ma non sperare, di mettere a nudo. Nel caso mio non pretendo quindi di decidere, se i cavalli di legno dessero o no l’impulso; tanto più che l’ippogrifo potrebbe anche essere nato, od essere stato introdotto, in forza d’una legge di progresso.
      Infatti, nei nostri romanzi anteriori all’Innamorato, la più eccellente tra le cavalcature è Baiardo.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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