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      »(433) Dopo essersi riposati la notte, i due cavalieri «a l’endemain s’en partirent et se mistrent au chemin. Mes il n’orent mie granment erré, quant il troverent un sentier a destre, qi aloit ou parfont de la forest.»(434) Tristano conduce a termine l’avventura di cui ha avuto notizia dall’eremita, come Rinaldo quella suggeritagli dai monaci. Le due imprese non si rassomigliano; i rapporti genetici del Furioso col Tristan non vanno più là della cornice; che in tutti e due si tratti di una liberazione, qui di una donzella condannata al fuoco, là del re Artus in procinto di essere messo a morte, è una mera analogia, e nulla più. Ma forse mai un barone del ciclo di Carlo Magno fu convertito così espressamente in Cavaliere Errante come in questo caso, nel quale Rinaldo si mette a vagare per una gran selva in questa parte e in quella,
      Dove più aver strane aventure pensa.(435)
      (IV, 54.)
      Le parole degli ospiti nel Furioso danno tuttavia a conoscere come lo spirito della cavalleria romanzesca sia oramai svanito. Si sconsiglia Rinaldo dal cercare avventure per luoghi remoti, dove ne andrebbe perduta la notizia (IV, 56). Sennonché ciò appunto vogliono sempre i principali tra gli Erranti. [149] La modestia è per essi uno dei primissimi doveri. Però anche quando si provano dinanzi a migliaia di spettatori, procurano di celarsi con ignote divise. La fama li segue, perché al vigile suo sguardo sfugge di rado una bella impresa; ma essi si guardano bene dal vezzeggiare con lei, e nulla è tanto difficile, quanto indurli a confessarsi autori di qualche opera gloriosa.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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