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      Ma per ora credo d’essere nel mio pieno diritto, se avverto che la corrispondenza epistolare tra gli amanti era da un pezzo comune nei romanzi di cavalleria. In quelli in prosa, veramente: fra di noi, nei Reali di Francia e in altra roba siffatta della fine del trecento [374] e di tutto il quattrocento; oltralpe, per non citar altro, nel nostro solito Tristan. Tra gli esempi che questo libro ci potrebbe fornire, ne ricorderò uno solo, più opportuno per il caso attuale: rammenterò come una notte il nipote di re Marco (II, f.o 173),(1440) essendo albergato in una certa torre, vegli, mentre tutti gli altri dormono, per scrivere a Isotta e indurla a tollerare pazientemente un prolungamento di assenza.
      Per illustrare i fatti dell’indomani il materiale non scarseggia. Quel sopraggiungere di Marfisa, là dove Ruggiero, Aldigiero e Ricciardetto si sono appostati (XXV, 97), rammenta un episodio del Palamedès, che è forse da considerare come una delle fonti anche per le parti dell’episodio che già si sono trascorse.
      Cavalcando al solito modo in avventura, Meliadus trova una sera un cavaliere, che se ne stava tutto pensoso.(1441) Lo saluta: non risponde. Meliadus allora lo scuote, e quegli si scusa, narrandogli la cagione del suo irrimediabile affanno. Gli è che il nipote del re di Scozia, già suo compagno, gli ha tolto una donzella, da lui amata con tutta l’anima. Passerà di lì il giorno appresso colla donna e con trenta cavalieri; però egli vi s’è messo ad aspettarlo, per riavere la donna, o piuttosto per ricevere morte.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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