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      Che avverrà d’Orlando, quando lo risappia? Amore e pazzia sono già così vicini - non solo il nostro poeta (XXIV, 1-2), ma in certi momenti di lucido intervallo lo consenton perfino i romanzieri della Tavola Rotonda - che non si può rimanere in dubbio di quel che sia per succedere. Tutto si riduce a mettere il piede da uno scalino sull’altro. Insomma, Orlando perderà il cervello.(1513)
      È questa la crisi, il foco, il centro di tutta quanta l’azione. Affinché l’ordine materiale convenisse coll’ideale, il nostro autore collocò queste scene al termine del canto XXIII e al [394] principio del XXIV, ossia precisamente alla metà del poema. Almeno, io non saprei attribuire al caso una disposizione d’una simmetria così esatta.(1514)
      Considerata l’importanza somma dell’impazzimento rispetto all’opera intera, mi pare anche da ammettere, dover questo essere stato uno dei punti che l’Ariosto ebbe prima a fissare nella sua mente. La genesi, secondo me, è doppia. Ci furono simultanei e cooperanti un processo d’evoluzione ed uno d’imitazione. Il medesimo mi parve di poter dire in altri casi; soprattutto parlando dell’ippogrifo.(1515) Quanto all’evoluzione, non aggiungerò nulla alle cose esposte di già,(1516) perché sarebbe un uscire dai miei confini; gli è invece sull’imitazione che mi devo fermare.
      L’impazzire è cosa comune nei romanzi della Tavola Rotonda. Anzi, anche prima della loro fioritura, la Vita Merlini in esametri(1517) aveva rappresentato uscito di senno il famoso vaticinatore, in conseguenza dell’aver visto cadere in battaglia alcuni dei compagni più cari.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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