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      Questo per ciò che spetta al [609] poema in sé: quanto al merito dell’Ariosto, resta esso tal quale, o si trova in qualche modo scemato?
      Ponendo una domanda siffatta voglio riferirmi soltanto ai casi in cui il poeta si è manifestamente tenuto stretto a determinati modelli, non a quei moltissimi nei quali le sue invenzioni si sono allontanate a tal segno dall’esemplare primitivo, da potersi a mala pena stabilire la derivazione. Ché, del resto, creatori nel senso assoluto della parola, non ne esistono. I prodotti della fantasia non si sottraggono alle leggi universali della natura. Anche qui il nuovo, considerato da vicino, non è altro che la metamorfosi del vecchio; ogni forma presuppone una catena di forme anteriori; gl’incrementi possono essere più o meno rapidi, ma sono sempre graduati. Sicché sarebbe affatto fuor di proposito il disputare intorno a ciò che è inerente alla natura umana e condizione nostra universale. Nessuno sogna di rinfacciare a chicchessia che non sappia volare.
      Dunque, definiti i termini della questione, e definiti molto approssimativamente, giacché dal plagio fino alla creazione più geniale non c’è soluzione di continuità, rinnovo la mia domanda. Il molto che l’Ariosto ha preso d’altronde, sia imitando, sia rifacendo, diminuisce il suo merito? - So di andar contro alle idee di molti non rispondendo con un no reciso. Ogniqualvolta si discorre di scrittori che il consenso unanime ha dichiarato sommi, s’ha oramai l’abitudine di trattare l’invenzione - quella almeno che la comune degli uomini intende anzitutto quando si serve del vocabolo - con affettato disprezzo.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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