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      (955) [1] V. Palam., f.o 313, 486, ecc. ecc.
      (956) [2] Il ritratto dell’Orco presso l’Ariosto (XVII, 30-31) è una nuova edizione di quello datoci dal Boiardo, III, III, 28-31.
      (957) [3] Taluno potrà immaginare che l’intenzione primitiva del Boiardo fosse stata di non seguitare altrimenti questa storia, per via di certe sue parole: (II, XX, 41) «Quel che si fusse poi di Norandino, Né di Costanzo, non saprebb’io dire, Perché di lor non parla più Turpino». Ma un’idea siffatta mi par poco ammissibile. Penso che il poeta avesse voluto dire soltanto, di non saperci in proposito contar altro in questo luogo; il che non significava rinunziare a riprendere il filo a miglior tempo.
      (958) [4] FAUSTO; DOLCE; PIGNA; RUSCELLI; LAVEZUOLA; BOLZA.
      (959) [5] La tempesta e la caccia (Fur., XVII, 26-28) fanno pensar subito al primo libro dell’Eneide. E che non sia coincidenza fortuita, pare indicarlo il verso, «E l’arco gli portâr dietro duo servi», ben meritevole di esser messo a confronto col «fidus quae tela gerebat Achates» del poeta latino (v. 188). Ma il singolare si è che la caccia dell’eroe troiano (v. 184-93) è evidentemente emanata da un luogo dell’Odissea (IX, 152-60), che precede immediatamente all’episodio dell’isola dei Ciclopi.
      (960) [1] A guardare per minuto, si vedrebbero cose curiose. I versi 3-4 della st. 35 dell’Ariosto provengono da Virgilio, III, 623-27. Ma perché le vittime sono tre, e non due? Domandatelo al Boiardo (III, III, 29): «E tre giganti, che avea presi in preda, Percosse a terra qua, come ranocchi». Elementi dell’Innamorato se ne ravvisano nelle stanze 30, 31, 33-34 (Inn., st.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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