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      (1510) [6] Pag. 205.
      (1511) [1] Per non tirare innanzi neppur qui senza qualche citazione, s’abbia questa da uno scritto che va tra quelli di Luciano, con diritto contestabile e contestato: gli Amori. Si racconta del leggendario innamoramento di un giovane di Gnido per la Venere di Prassitele: (cap. 16) «... E già rinfocandosi la passione, ogni parete era incisa, ed ogni corteccia di tenero albero proclamava bella Venere.» Tra gli scrittori latini V. Virgilio, Ecl., X, 53. Aggiungerò poi alcuni versi d’una lirica amorosa del Boiardo: «Tu che hai de la mia mano il bel signale, Arbor felice, e ne la verde scorza Inscritta hai la memoria del mio male, - Strengi lo umor tuo, tanto che si smorza Quel dolce verso che la chiama mia, Ché, ognor ch’io il lego, a lacrimar me forza.» (Se io paregiasse, p. 141 nell’ed. Solerti).
      (1512) [2] Questo amore mi rammenta quello di certe Dee della mitologia greca con uomini mortali. Ricorderò Venere, che non sa mai staccarsi dal suo Adone.
      (1513) [3] Momentaneamente gli era già accaduto di smarrirlo, per tutt’altro genere di motivo, nel Pulci, Morg., I, 16-18. Ma se è opportuno rammentare la cosa ed ha fatto bene lo Zumbini a richiamarla nel suo studio geniale La follia d’Orlando (Studi di Letter. ital., Firenze, 1894, pag. 306), non credo che tra questo passeggero offuscamento della ragione e l’impazzimento nostro ci siano rapporti genetici di nessun genere.
      (1514) [1] Esatta matematicamente nell’edizione in quarantasei canti. Nelle antecedenti, la precisione era stata minore, poiché la pazzia stava a cavalcioni dei canti XXI e XXII, anziché XX e XXI, come avrebbe dovuto, per occupare il mezzo dei quaranta di cui allora constava il poema.


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Le fonti dell'Orlando Furioso
di Pio Rajna
pagine 965

   





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