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      E portano questa focaccia nel bacile piccolo, che è uno di quelli dell'altare, coperta con un panno, con la croce e turribolo, avanti sonando la campanella.
      Di dietro alla chiesa, dove è quel coro, in quel circuito che tengono come claustro, non può stare alcuno che non sia di ordine sacrato, ma tutti debbono star avanti la porta principale, dove è un altro circuito grande, che hanno tutte le chiese: e questo circuito è come claustro, ma non è coperto, e vi può stare ogni uomo che vuole. Entrando in processione con questa focaccia, tutti quelli che stanno nella chiesa e nel circuito, come odono la campanella, abbassano la testa fino che la campanella tace, che è quando la mettono sopra l'altare nel bacile piú piccolo, posto, come si è detto, nel bacile piú grande; e vi mettono di sopra un panno negro a guisa di corporale, e con le bande del detto panno lo cuoprono. Questo monasterio ha il calice d'argento, e cosí in tutte le chiese e monasteri onorati hanno i calici d'argento, e in alcune anche d'oro. Nelle chiese de' poveri, ch'essi chiamano chiese di balgues, cioè di lavoratori, li calici sono di rame. Li vasi sono molto piú larghi che non sono li nostri, ma mal fatti; non hanno patena. Buttano nel calice il vino, fatto di uve passe, in gran quantità, perché quanti si communicano col corpo si communicano anche col sangue.
      Quello che ha da dire questa messa comincia «Alleluia», con voce alta piú presto sconcia che cantata, e tutti gli rispondono: e allora esso tace e comincia a fare la benedizione, con una croce piccola che tiene in mano, e cosí cantano quelli che stanno di fuori come quelli che stanno di dentro, fino a un certo passo, nel quale uno de' dui che sta all'altare piglia un libro e si fa dare la benedizione da colui che dice la messa, e un altro piglia la croce e la campanella e va sonando verso la porta principale, dove sta tutto il popolo in quel circuito, e ivi legge la Epistola, molto correndo con la lingua, e si torna poi cantando alla volta dell'altare.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Secondo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1307

   





Epistola