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      Levatisi del porto si misero a navigar lungo la isola, e fatti ducento stadii di novo si fermarono appresso di quella, di donde viddero un'altra isola, distante da quella grande forse quaranta stadii, la qual si diceva esser consecrata a Nettunno, e che alcun non vi montava sopra. Ed essendo surti, nel far dell'aurora la marea li sopragiunse, e il calar del mare fu cosí grande che tre navi restarono in secco, e le altre, con grande difficultà essendo scampate di quelle secche, si salvarono in alto mare. Ma dapoi sopragiunta la crescente del mare, quelle ch'erano restate vennero fuori, e furono l'ultime a giunger dove era il resto dell'armata. E scorsero in un'altra isola, distante da terra circa trecento stadii, avendo navigato da quattrocento stadii, e quivi nel far del giorno si misero a navigare, passando da man destra di una isola deserta detta Pilora, e arrivarono a Dodona, castelletto piccolo e povero d'ogni cosa, eccetto che di acqua e pesce, conciosiacosaché ancor questi siano ictiofagi, cioè mangiapesci, avendo il lor paese molto tristo e sterile. E quivi fornitisi d'acqua, se ne andarono verso un capo che scorreva molto in mare, detto Tarsia, avendo fatto trecento stadii, di donde passarono ad una isola deserta all'incontro di terra, detta Catea, che si diceva esser dedicata a Mercurio e Venere, che fu cammino di trecento stadii. In detta isola ogni anno vengono portate dalli vicini abitanti pecore e capre, che donano a Mercurio e Venere, e queste poi col tempo in questa solitudine diventano salvatiche.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Secondo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1307

   





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