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      Né vi valeva forza o modo alcuno di quelli che li governavano, che, per il dolore e rabbia delle ferite e per il tuono grande delle voci, erano talmente impauriti che senza ritegno o governo andavano or qua or là vagabondi, e alla fine con gran furia e spavento si cacciorno in una parte del bosco dove non erano li Tartari; e quivi entrando per forza, per la foltezza e grossezza degli arbori, fracassavano con grandissimo strepito e rumore li castelli e baltresche che avevano sopra, con ruina e morte di quelli che v'erano dentro.
      Alli Tartari, veduta la fuga di questi animali, crebbe l'animo, e senza dimorar punto a parte a parte con grand'ordine e magisterio andavano montando a cavallo e ritornavano alle loro schiere, dove cominciorno una crudele e orrenda battaglia. Né le genti del re manco valorosamente combattevano, perché egli in persona le andava confortando, dicendoli che stessero saldi e non si sbigottissero per il caso intravenuto agli elefanti. Ma li Tartari, per la perizia del saettare, li caricavano grandemente addosso e offendevano fuor di misura, perché non erano armati come li Tartari. E poi che l'un e l'altro esercito ebbero consumate le saette, posero man alle spade e mazze di ferro, facendo empito un contra l'altro: dove si vedeva in un instante tagliare e troncar piedi, mani, teste, e dare e ricever grandissimi colpi e crudeli, cadendo in terra molti feriti e morti, con tanta uccisione e spargimento di sangue ch'era cosa spaventevole e orribile a vedere; ed era tanto lo strepito e grido grande che le voci andavano sin al cielo.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Terzo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1136

   





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