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      Il pericolo quanto fusse grande lascierò considerare a chi leggerà, ma al parer mio non so come potesse esser maggiore. Passati dall'altra banda e dismontati in terra, ciascuno rassettato le sue robbe, stemmo tutto quel giorno co' Tartari; e alcuni lor capi molto mi guardavano, e fra loro fecero di molti pensieri. E levati dalla detta fiumana, ci mettemmo in cammino per la campagna deserta, con grandissimi disagi d'ogni sorte. E messici a passar una selva, l'ambasciador sopradetto mi mandò a dire per il suo turcimano che li detti Tartari avevano deliberato di menarmi al loro imperadore, né altramente potevano fare, dicendo che simile uomo qual io era (che ben lo avevano inteso) non poteva passar Capha, se prima non era presentato al loro imperadore.
      Sentita tal cosa mi fu di grandissimo affanno, onde molto mi raccomandai al detto turcimano, pregandolo si ricordasse della promessa che fece a Pammartin per la maestà del re di Polonia, e gli promisi una spada: disse di volermi servire, e confortatomi tornò al suo ambasciadore e, referendoli quanto io gli aveva detto, si mise a sedere e bere con li detti Tartari, e con molte parole accertandoli ch'io era genovese, l'acconciò in ducati 15. Ma, prima ch'io sentissi tal nuova, stetti con grandissimi affanni.
      La mattina cavalcammo, e camminando fin adí 24 con molti disagi, stando un giorno e una notte senza acqua, ci trovammo ad un passo dove il detto ambasciadore con li Tartari convenne pigliar la via verso il loro imperadore, il quale era ivi, ad un castello chiamato Chercher, e dettemi un Tartaro in compagnia che m'accompagnasse in Capha: e tolto commiato dal detto ambasciadore ci separammo.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Terzo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1136

   





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