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      Diceva ancora quella pianta, se pianta è lecito d'essere chiamata, aver in sé sangue, ma senza carne, ma, in luogo della carne, una certa materia simile alla carne de' gambari; ha l'onghie non cornee, come li agnelli, ma con certi peli vestite, alla similitudine d'un corno; ha la radice sin all'umbilico, e dura sin a tanto che, mangiate l'erbe a torno a torno, la radice per carestia del pascolo si secca. Dicono aver in sé una dolcezza maravigliosa, e che perciò è molto desiderata da' lupi e d'altri animali rapaci. Io, quantunque giudico tutto questo, e del seme e della pianta, essere cosa favolosa e incerta, nondimeno, perché me l'hanno riferita uomini degni di fede, l'ho voluta riferire agli altri.
      Andando dal principe Schidach in oriente per spazio di vinti giorni, si truovano certi popoli li quali li Moscoviti Iurgenci chiamano, alli quali Baracch soltan, fratello del gran Chan, o vero re di Cataia, signoreggia. Dal signor Baracch soltan per dieci diete si va alla volta di Bebeiddichan, e questo è il gran Can di Cataia.
      Astrachan è città ricca e opulenta, ed è fontico delli Tartari; dalla qual città tutto il paese circonvicino ha preso il nome, e per il viaggio di dieci giorni sotto Cazan, nella ripa di qua dal fiume Wolga, quasi appresso le bocche del fiume è posta, benché alcuni dicono non esser cosí, ma per alcune giornate esser distante.
      Veramente in quel luogo nel quale Wolga fiume in piú rami si divide, li quali dicono molti che sono settanta, e fa molte isole, e con tante bocche entra nel mar Caspio, e con tanta copia d'acqua v'entra che alli spettatori di lontano pare che sia un mare.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Terzo
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1136

   





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