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      Ed essendo rimasa in abandono la nostra barca, il mar l'avea molto battuta, onde cercammo restoppiarla e calefattar al meglio potemmo, ritornandovi dentro quei pochi armizzi che ci eran restati per andar alla detta isola. Ma, montati che vi fummo sopra, la barca s'aprí e allargò le sue corbe, in modo che subito la vedemmo piena d'acqua: onde ne fu forza mutar pensiero.
      Smontati parte di noi quasi tutti in acqua e parte fino al mezo in minor acqua, ci sforzammo di tirarla in terra, e, desperati di mai non potervi star sopra, deliberammo di adattarla in modo che fosse a proposito per coprirci. Come meglio potemmo la facemmo in due parti, e della maggiore femmo una copritura over capanna per tredici di noi, e della minore un'altra capace per cinque uomini: sotto le quali entrammo, coprendole con parte della nostra vela. E delle reliquie e coredi di detta barca facemmo continuamente fuoco, solo per conservar la vita nostra.
      Mancandone in tutto ogni sostanzia del cibarci e del bere, andavamo vagando sopra il lito del mare, dove la natura ne porgeva il vivere con alcune chiocciole e pantalene: e di questi non quanti né quando volevamo, ma quando potevamo e in picciola quantità. E levando la neve in alcuni luochi, trovavamo certa erba la qual con la neve mettevamo in la caldiera, e come ne parea che la fosse cotta la mangiavamo: né però ci potevamo saziare. E cosí vivemmo 13 giorni continui, con pochissima carità fra noi, per la gran penuria di tutte le cose ed estrema fame facendo piú tosto vita bestiale che umana.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quarto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 837