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      Ma, ritornando all'istoria, il commendatore D. Pietro Margarito, che con fino a trenta uomini si ritrovava nella fortezza di S. Tomaso, sentiva le medesime calamità che provavano quelli che erano nella città d'Isabella, onde ve ne morivano di continuo, e cosí ogni dí si facevano piú pochi; e perciò non potevano della fortezza uscire e lasciarla sola, perché se disconveniva alla lealtà di un cosí buon cavaliero come era il commendatore. Quelli che erano nella città d'Isabella con don Bartolomeo Colombo, che era già venuto, in tanti affanni si ritrovavano che non si potevano prevalere, e quelli Indiani che erano per la fame scampati se ne erano molto a dentro nell'isola fuggiti.
      Mentre che a questi termini le cose de' cristiani si ritrovavano, se ne venne un dí un Indiano al castello di S. Tomaso, e perché, come esso dicea, il castellano era persona da bene e non faceva violenza né usava discortesia alcuna alle genti dell'isola, gli appresentò un paio di tortore vive. Il commendatore lo ringraziò e gli donò in compensa di queste tortore certe frascherie di vetro, che 'n quel tempo gl'Indiani stimavano molto per attaccarsele al collo. Partito l'Indiano molto lieto, disse il commendatore a' suoi che gli pareva che quelle tortore fossero poca cosa per mangiare a tutti, e che a sé solo sarebbon per quel dí bastate per viverne. Tutti risposero che egli dicea bene, perché a tutti erano poco pasto, e a lui sarebbon bastate: tanto piú ch'esso piú bisogno n'avea, stando piú infermo che niuno degli altri.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260

   





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