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      Certo don Enrico, che se voi lo conoscete io vi tengo per un delli piú onorati e fortunati cavalieri che abbia il mondo. Di questo atto si cava il gran mare della clemenzia di Sua Maestà, che, benché avesse fra pochi giorni potuto concludere questa guerra senza restare piú memoria alcuna né osso di don Enrico né de' suoi, nondimeno, ricordandosi che v'avrebbono potuto perire alcuni cristiani, per ritrovarsi questi Indiani in montagne asprissime e selvaggie, e considerando che questo caciche ebbe ragione d'appartarsi, per quelle ingiustizie che gli furono piú volte fatte, e spezialmente veggendo che egli con tutti gli altri suoi si sarebbono potuto salvare l'anime con questa pace, con la permissione di Dio si indusse a farla con tanta clemenzia e benignità. Ha ora il caciche Enrico ottanta o cento uomini da guerra, e con le loro mogli e figliuoli passano piú di trecento anime, le quali, unendosi con la republica della nostra religione cristiana, si spera che si debbano o si possano salvare; e piú di trecento altre persone di questi stessi morirono senza battesimo, nel tempo che questo Enrico nella sua ribellione perseverò. Ci dobbiamo adunque di questa riconciliazione e pace sommamente rallegrare, poiché l'Evangelio sacro dice che nel cielo si fa piú festa d'un peccatore che si converta e venga a penitenzia che di novantanove altri perfetti e giusti.
     
     
      Come don Enrico se ne venne co' suoi presso Azua per vedere e sentire di questa pace, e di quello che dell'Indiano che egli mandò col capitan Francesco di Barrio Nuovo avvenne.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260

   





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