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      Doppo che hanno il boschetto tagliato lo bruciano, e vi è quella cenere di tanta utilità quanto se col letame s'ingrassasse. Poi si pongono per ordine d'un lato cinque o sei Indiani (e piú e meno, secondo la possibilità del lavoratore), lontani un passo l'uno dall'altro, e con un palo aguzzo per uno in mano; e ficcando d'un colpo quel palo in terra il dimenano, perché gli apra alquanto piú il terreno. E cavatolo tosto fuori, gettano con la mano sinistra in quel buco quattro o cinque granelli di maiz, che si cavano da una sacchetta o tasca che portano cinta o attaccata al collo, e poi col piè quel buco chiudono, perché i pappagalli e gli altri uccelli non si mangino il grano. E fatto questo, danno tosto un passo avanti e fanno il medesimo, e di questo modo a compasso seguono oltre, finché giungono in capo del terreno che seminano, e poi col medesimo ordine ritornano seminando, finché tutta la campagna che seminare vogliono sia fornita. Ma un dí o due prima che seminino, pongono il maiz che hanno a seminare a fare molle nell'acqua; e perché questo meglio si faccia, aspettano a seminare nel tempo che per le pioggie la terra stia tale, che la punta del palo possa con picciol colpo entrare tre o quattro dita sotto terra. Questo maiz fra pochi giorni nasce e in capo del quarto mese si raccoglie, e qualche volta piú presto, perché in tre mesi si fa; e vi è semente che si raccoglie in capo di due mesi doppo che si semina. In Nicaragua, che è una provincia di terra ferma, vi ha semente di maiz che si raccoglie in 40 dí, ma quello che se ne raccoglie è poco e minuto, e non si tiene di lungo, né si fa per altro che per un soccorso, mentre che si fa l'altro maiz de' tre o de' quattro mesi.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260

   





Indiani Nicaragua