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      Ora avvenne che in Valladolid gli s'infermò un giovanetto, suo nepote o parente, che esso voleva in queste Indie menare; e per purgarlo gli diede la metà di una di queste avellane, che l'evacuò di tal sorte che non li lasciò budella nel ventre, e in meno di 20 ore lo cavò dal mondo. E io viddi il Giovan della Vega piangere il suo nepote, e quando mai aveva imparato né oprato queste avellane.
      Voglio qui inferire quello che ho tocco nel precedente capitolo, e dico che ad alcune persone o stomachi non nuocono questi frutti né li muovono un punto; e ad alcuni altri fanno tanto purgare che gli uccidono, e in tanta alterazione gl'inducono che li pongono fin presso l'uscio della morte. Ho bene io veduti anco molti altri purgarsene moderatamente e con loro molto utile. Ma perché questa medicina è violenta, bisogna usare molta prudenzia e considerazione nel ministrarla e nel prenderla; e perciò quelli che queste avellane prendono si cenano prima una buona gallina e si saturano, e indi ad un'ora poi o piú tolgono una di queste avellane o mezza, secondo che a ciascun pare che le acconvenga.
      Questa purga e il modo di purgarsi s'imparò dagli Indiani, che per questo effetto pongono nei loro poderi e orti queste piante, e anco oggi in questa città in molte case dei cristiani ve ne sono. Ma in casa mia, mentre che io vivo, non ve ne saranno, perché, menando mia moglie e figli in terra ferma nel 1520, passai per questa città, e nella stanza dove io alloggiai in un certo cortile vi erano di questi pomaretti; e perché i fanciulli sono golosi e si mangiano ciò che trovano, il maggiore de' figli miei, che non aveva ancora otto anni, coi fratelli suoi si mangiarono di queste avellane quante avere ne potero, o ne ritrovarono cadute in terra (perché doppo che sono mature si spezzano facilmente quei pidicini dove attaccate stanno e cadono in terra, benché si mantengano due e tre anni senza corrompersi). Onde indi a poco cominciarono i fanciulli ad andare del corpo, tanto che tramortiti e come morti cadettero in terra; e io tenni loro per morti e me senza figli.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260

   





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