Pagina (1164/1260)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Perché quel dí stesso che viddero la nave, non avendo piú che mangiare e trovandosi piú di 12 leghe dentro mare, né potendo ritornare a terra per lo tempo contrario che era, gettarono le sorti, con solenne giuramento di doverle osservare, che chi nella disgraziata sorte cadeva fosse dovuto morire perché gli altri mangiassero, e mangiato il primo si gettassero le sorti dell'altro e poi dell'altro di mano in mano; perché era meglio che uno o due o tre morissero che non tutti, perché avevano speranza che in quel mezzo gli avesse Iddio dovuti soccorrere, e in quel mezzo colui a chi quella malvagia sorte toccasse si prendesse la morte in pazienzia.
      Or, avevano gettata la sorte, ed era tocco d'esser morto ad un di loro, chiamato Alvaro d'Aghillar, della città di Toledo. Ma, perché non li mancavano lagrime né contrizione per raccomandarsi a Dio, non permise la sua mercede infinita un cosí crudo e fiero partito avere fine, che già aspettavano la notte per ucciderlo e sodisfarne alle loro fameliche voglie. Ma volse Iddio che la nave vedessero, alla quale giunti e dimandati chi essi fossero (perché la nave credea che fossero gente della città del Darien), risposero: "Signori, noi siamo quelli perduti per li peccati nostri in questi mari", come se quelli della nave avessero avuto notizia della loro perdita e calamità.
      Tolti dentro la nave, narrarono quanto era loro avvenuto e quanto passato avevano, e furono condotti nel Darien, dove non arrivarono vivi se non 14 soli delli 35 che si erano in quella cosí fatta barca posti.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260

   





Iddio Alvaro Aghillar Toledo Dio Iddio Darien Darien