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      Ve ne erano anco altri assai minori e mezzani fra questi e quegli grandi, secondo la proprozione della loro età.
      Stando tutti quattro maravigliati a vedere questi lupi marini, e sospesi a contemplare diverse cose, si ricordarono de' compagni che restavano nel pericolo che s'è detto, fra quelli scogli. Onde il licenziado pregò quelli tre che seco erano che volessero con la canoa ritornarvi e condurli a poco a poco in quella piaggetta. Risposero li tre che la notte era molto oscura e 'l vento contrario, e non avrebbono mai indovinato a quelli scogli o forzieri dove i compagni lasciati avevano, perché era molto lontano, e che se essi con la canoa si perdessero erano anco tutti gli altri perduti. Perché la scusa era lecita e giusta, deliberarono che s'aspettasse fino alla mattina, e perché il vento era forte tirarono la canoa in terra e la stesero su l'arena di traverso e quasi per lor riparo; e perché essi vi si coricorono appresso su l'arena, accioché non cadesse lor sopra, perché stava posta in terra di fianco, l'appuntellarono con certi legni. E cosí ivi dormirono mezzi coverti dall'arena il meglio che poterono, finché fu giorno.
      Poco prima che uscisse il sole, udirono molte voci che facevano tre cristiani della medesima compagnia, l'un de' quali stava ferito d'un morso che gli avea dato un tiburone, e gli altri due per la paura che avuta avevano, col darsi soverchio fretta al nuotare, avevano molta acqua del mare bevuta. Quel ferito morí tosto che all'isoletta giunse; gli altri due poco piú tempo vissero, che amendue medesimamente morirono, perché l'acqua del mare è tale che chi molta ne bee non può vivere.


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Navigazioni e Viaggi
Volume Quinto
di Giovanni Battista Ramusio
pagine 1260