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      Contrafforti, coni avventizi, correnti di rocce liquefatte circondano la montagna propriamente detta e danno all'insieme del gruppo una superficie, che oltrepassa 1,100 chilometri quadrati. Salendo pel versante del sud, preferito da Hamilton, il primo ad ascendere l'Argeo nei tempi moderni, si superano larghe terrazze successive, disposte a scaglioni intorno alla cima. Il cono supremo, alto 800 metri circa, è tagliato da crepacci profondi, e le intemperie vi hanno scavato burroni divergenti, che disegnano sull'orlo del cratere un collare di nevi bianche, discendenti in lunghe striscie fra le scorie rossastre. Su quei pendii dirupati, il minimo cambiamento di temperatura durante la notte basta per far scivolare le pietre sulle nevi; sono imprigionate dal gelo, ma al levare del sole il calore le sprigiona, e trascinate dalla gravità, balzano da rupe in rupe sopra i crepacci. Di primavera, all'epoca della fusione della neve, è una scarica d'artiglieria delle più pericolose e l'ascensione si deve fare di notte, prima che la montagna "si svegli". D'estate la neve sparisce completamente dal versante meridionale dell'Argeo,[716] ma ne resta sempre nel profondo cratere, dove forma anzi veri ghiacciai.
      [Immagine 076.png - N. 76. -- MONTE ARGEO].
      Ancora all'epoca di Strabone, il monte aveva un resto d'attività vulcanica. I fianchi erano coperti di foreste, - che sono sparite, - ma la pianura era "minata da un fuoco interno", e scaturivano frequentemente le fiamme; nel quinto secolo dell'êra volgare, Claudiano descrive le "cime infuocate" dell'Argeo.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume IX - L'Asia Anteriore.
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1891 pagine 1124

   





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