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      In queste pozze, alcune delle quali hanno più di un chilometro di lunghezza, altre son ridotte a una superficie di pochi metri quadrati, si accalcano, in una vicinanza troppo stretta pel loro comodo o per la loro sicurezza, tutti gli animali fluviatili, pesci, tartarughe, coccodrilli e perfino ippopotami; le bestie selvatiche vengono ad abbeverarsi in questi stagni, brulicanti di vita, ed ogni palma della sponda, ogni cespuglio ha la sua colonia di uccelli. Nella maggior parte dei fiumi della pianura, l’acqua ricondotta dalla stagione delle piogge scende lentamente nell’alveo: preceduta da una brezzolina che dà al fogliame delle rive un fremito allegro, si avanza con un romore, come di stoffe stropicciate; la sua prima ondata non è che una massa di spuma giallognola cui si frammischiano i detriti; dietro a questo miscuglio d’acqua e di fango viene una seconda ondata, dove già si riconosce l’acqua fluviale; poi comparisce la corrente normale, verso la quale subito corrono gli animali per dissetarsi(127). Ma la potente massa liquida dell’Atbara si precipita come una valanga. Il fiume empie di nuovo il suo letto non già con una lenta e graduale invasione dell’acqua: la piena appare d’improvviso. Se il viaggiatore s’addormenta sulla sabbia del letto, viene svegliato ad un tratto dal tremito del suolo, dal fracasso d’un tuono crescente: «El bahr! el bahr!» gridano gli Arabi, e non si ha più che il tempo di precipitarsi verso la sponda per sfuggire al flutto che s’avanza, spingendosi dinanzi una risacca di fango, strascinandosi sui primi cavalloni giunchi, bambù, e mille frantumi strappati dalla riva.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume X parte I - L'Africa settentrionale
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1887 pagine 1017

   





Atbara Arabi