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      Se le terre coltivabili dell’Abissinia fossero lavorate come quelle delle più ubertose colonie europee, gli altipiani etiopici potrebbero fornire di caffè e di china i mercati del mondo, e le valli di quelle prealpi gareggerebbero con gli Stati Uniti per la coltivazione del cotone.
      L’industria propriamente detta è nello stesso stato di abbandono che l’agricoltura, benchè gli Etiopi abbiano certamente l’intelligenza abbastanza capace e le mani abbastanza abili per profittare di per sè delle loro materie prime, invece di spedirle fuori per riceverle manifatturate: le guerre incessanti, durante le quali si è vista talvolta tutta la popolazione valida sotto le armi, il disprezzo pel lavoro e pei lavoratori, che si ha in tutti i paesi di feudalità e di schiavitù, non hanno permesso agli Abissini di spiegare la loro abilità ed il loro gusto naturale per l’industria. Agli ebrei felascia abbandonano i lavori del muratore, dello stipettaio, del falegname. Sono del pari Felasci che fabbricano utensili, istrumenti ed armi, e che in cambio di questi servigi corrono il rischio di essere odiati e perseguitati come buda, cioè come lupomanari o almeno come negromanti. Alcune famiglie discendenti da Indiani ed alcuni Armeni naturalizzati adornano di filigrane gli scudi, le spade e le selle, formano gioielli e incastonano pietre per le collane e pei braccialetti delle donne; alcuni operai europei, che risiedono alla corte, contribuiscono eziandio per una certa parte alla produzione industriale dell’Etiopia.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume X parte I - L'Africa settentrionale
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1887 pagine 1017

   





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