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      Senza dubbio è naturale che quasi tutti gli abitanti si mettano in moto ad un tempo per rifare i canali: dal fango del Nilo nascono le ricchezze dell’Egitto. Sotto questo aspetto, tutta la popolazione è solidale: i canali che recano l’acqua fecondatrice e senza i quali gli abitanti della riva sarebbero condannati alla fame, rappresentano una quantità di lavoro troppo considerevole perchè non vi scorgano un’opera nazionale. Ma importerebbe che quest’opera, alla quale contribuiscono tutti i lavoratori, fosse veramente fatta nell’interesse di tutti; sarebbe necessario che essa profittasse non solo alla prosperità di qualche grande possedimento, ma anche a quella delle coltivazioni dei villaggi; sarebbe equo che essa non pesasse soltanto sui lavoratori che sono troppo poveri per riscattare il loro lavoro; bisognerebbe che il disgraziato che guazza al fondo dei canali non avesse a soffrire la fame e non fosse decimato dalle epidemie: non è il curbas che dovrebbe regolare il lavoro! I monumenti dell’antico Egitto ci raccontano da seimila anni in qua la storia del fellah, curvo sul suo cesto di fango, mentre sovra il suo capo si agita lo staffile del sorvegliante: siano pur cambiati i nomi, questa forma dell’antica schiavitù esiste ancora. Come diceva Amru al califfo Ornar, il popolo egiziano «non pare destinato che a lavorare per gli altri, senza approfittare affatto delle sue proprie fatiche».
      Vi sono pochi paesi dove antichi costumi, adattandosi difficilmente ai nuovi tempi, contrastino in modo più evidente coi mezzi messi in opera dalla civiltà moderna.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume X parte I - L'Africa settentrionale
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1887 pagine 1017

   





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