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      È noto che le risorse dell’Egitto derivano quasi unicamente dalla sua agricoltura, come nei tempi antichi in cui vacche magre e vacche grasse rappresentavano simbolicamente la miseria e la fortuna della nazione. Il terreno alluvionale, di una profondità media di circa 10 metri, potrebbe essere di una gran fecondità, ma è necessario rinnovarne la forza cogli ingrassi, ed in molti luoghi lo si satura di sale e di nitro quando non è regolarmente lavato dalle acque abbondanti(868). Nell’insieme, la coltivazione del terreno è ancora in uno stato affatto rudimentale; il frumento della valle del Nilo, male raccolto, è sempre carico di terra, e talmente saturo di sale, che la sua conservazione diventa difficile; appena è nel granaio, diventa preda degli insetti. I semi di lino sono frammisti almeno ad un quinto di sementi estranee; l’indaco è bruciato o terroso; l’essenza di papavero è falsificata col succo di lattuga; alle fibre del cotone si frammischiano impurità di ogni genere(869). I campi dei fellahini non hanno altri boschetti tranne quelli delle palme, ed i prodotti degli alberi fruttiferi europei sono ordinariamente assai mediocri: l’albero per eccellenza è sempre il dattero, che dà in media un reddito annuo di una ventina di lire italiane(870). Il bestiame viene mal curato, e gli allevatori egiziani menano vanto solo delle belle razze di asini, sovratutto dei loro grandi boricchi bianchi, che si dicono originari del Yemen. Frumento, orzo, durra, lenticchie, piselli, rape, lupini, zafferano, trifoglio, canape, meloni, legumi diversi, crescono sempre nei campi del fellah, ma altre piante non conosciute dagli antichi Egiziani furono introdotte nelle rotazioni annuali: indaco, tabacco, mais, riso, canna da zucchero, gelsi, alberi di cotone.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume X parte I - L'Africa settentrionale
di Elisée Reclus
Editore Vallardi Milano
1887 pagine 1017

   





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