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      Plinio narrò degli alberi e delle erbe, dei boschi e dei vigneti, delle roccie e degli animali, considerando come massima vetta il Monviso, ed attribuendo a questa e ad altre altezze dieci volte più grandi. Gli imperatori che combatterono contro i barbari e le legioni loro ebbero storici e poeti, come Dione Cassio, Ammiano Marcellino, Claudio Claudiano, che ne segnalarono le orride bellezze, sino a che l'irrompere della piena di quei barbari impose silenzio anche ai cronisti e aprì sulle Alpi le porte temute di cento invasioni.
      Ma oramai se ne aveva chiara l'idea, e gli storici degli invasori, Cassiodoro e Fernandes, Procopio e Gregorio di Tours, poco vi aggiunsero, mentre gli Italiani vi appresero come fossero ormai le "malvietate Alpi", al di qua delle quali lo straniero spiegava le tende, come nella narrazione di Adelchi, per dominare sulle nostre discordie. A quelle aride cronache succedettero le narrazioni dei santi che portavano oltre ad esse il cristianesimo, dei pellegrini che le attraversavano per visitare i rinomati santuari, succedettero gli annali ed i registri imperiali. Cinque volte Carlo Magno e sette Carlo il Grosso le valicarono con eserciti, piccole schiere, a paragone delle moderne falangi, che seguivano le vie ormai note, i valichi più facili, non accennando mai alle somme vette, seduzione dei moderni alpinisti. Ma per secoli le Alpi si raffigurano ancora con forme e giaciture fantastiche, e persino si sopprimono, come nel mappamondo di Fra Mauro, mentre Edrisi scrive di esse quasi più errori che linee, ed Abulfeda se ne sbriga in tre appena.


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Nuova Geografia Universale. La Terra e gli uomini
Volume V - Parte seconda - L'Italia
di Elisée Reclus
Società Editrice Libraria Milano
1902 pagine 794

   





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